Di recente si e’ parlato di impact factor e di h-index, due metriche per misurare la quantita’, ed auspicabilmente la qualita’ dei risultati scientifici, uno dei prodotti del lavoro dei ricercatori. Ne ha parlato anche Galileo, pochi giorni fa, a proposito dell’inadeguatezza di queste metriche. Dunque ci viene spiegato che questi indicatori non dovrebbero essere utilizzati, ma che cosa si puo’ o si dovrebbe fare per valutare la produttivita’ della ricerca?
Innanzitutto, perche’ e’ importante effettuare una misura di qualita’ della ricerca? Non credo di potere rispondere meglio di come ha fatto David Colquhoun[1], per cui lo cito
Dagli Accademici, come da tutti, ci si aspetta che facciano un buon lavoro. In larga misura vengono pagati dai contribuenti, i quali hanno ogni diritto di ottenere un (alto) valore da cio’ che pagano con le loro tasse. Il punto e’ che e’ estremamemente complicato valutare la loro produzione.
L’ambizione dell’impact factor, o dell’h-index, e’ proprio quella di fornire un punteggio al lavoro dei ricercatori, in modo completamente automatico. Cosi’, se il loro punteggio e’ troppo basso, niente finanziamenti, oppure niente promozione, o magari niente assunzione. 7? Via! Avanti il prossimo! 19: Bene, questo lo prendiamo. E’ esattamente quanto sta accadendo in molte, eccellenti Universita’ straniere. Stiamo attenti allora quando parliamo di introdurre questi concetti anche in Italia. Abbiamo il vantaggio di essere in ritardo e possiamo imparare dagli errori degli altri, altrimenti saremo costretti a ripeterli.
Fioccano le critiche e le accuse di inadeguatezza di questi indicatori, come in questo interessante editoriale di Nature Physiology[2]. Semplicemente, non c’e’ indicatore numerico che possa davvero render giustizia delle capacita’ di un ricercatore. La soluzione, secondo Colquhoun:
L’unico modo di valutare il merito di una pubblicazione scientifica e’ chiedere il parere di una selezione di esperti del settore. Non c’e’ nessun altro metodo che funzioni. Nessuno.
[1] D. Colquhoun, Physiology News, No. 69, Winter 2007. La discussione di questo articolo e’ sul web, qui
[2] Editoriale, Nature Neuroscience No. 6, 783 (2003) doi:10.1038/nn0803-783