Mark Dewhirst ha vinto il Failla[1] Award del 2008, il premio alla carriera di un ricercatore maturo, conferito dalla Radiation Research Society. A Boston, insieme al mio collega-volontario Sylvain Costes, l’ho intervistato per il podcast che curo insieme ad un gruppo di altri giovani entuasiasti. Oltre a parlare della sua ricerca, concentrata sull’ipossia[2] nei tumori, Mark Dewhirst ha accennato alle qualita’ che dovrebbe avere un buon mentore.
Voglio spararla grossa: quello pubblicamente[3] considerato tra i massimi problemi della ricerca, ovvero la mancanza di attrezzature di qualita’ nei laboratori Italiani, e’ secondario a quello dell’assenza di una ‘cultura’ di mentori. Prendersi cura dei giovani ricercatori, abituandoli al pensiero indipendente, a concepire idee originali e criticarle in modo spassionato, e’ cultura che, nel Bel Paese, appartiene a pochissimi.
Secondo Mark Dewhirst, questa e’ la ricetta per un buon mentore
- lasciare il giovane ricercatore libero di esplorare il campo, mantenendo sempre un controllo della direzione - quella del progetto a cui e’ stato assegnato - ma senza limitarlo
- scrivere lettere di referenza affinche’ il giovane ricercatore vinca premi nazionali ed internazionali, acceda a finanziamenti, e venga presentato nel miglior modo possibile al suo prossimo colloquio di lavora per la nuova posizione che - oramai - merita occupare
- abbracciare l’intersdiciplinarita’ perche’, altrimenti, non si va piu’ da nessuna parte.
Dunque, ai ragazzi alla caccia di un impiego nella ricerca: abbiate almeno questi 3 elementi sulla lista della spesa quando incontrerete colui o colei che sara’ il vostro futuro mentore.
[1] Gino Failla, evidentemente Italo-Americano, e’ stato uno dei fondatori della Radiation Research Society, un’associazione scientifica che partendo dagli Stati Uniti, coinvolge oggi una buona fetta dello scacchiere mondiale.
[2] L’ipossia in un tessuto e’ la condizione di abbassamento dei livelli di ossigeno, rispetto a quelli ritenuti normali. Si verifica nelle aree tissutali piu’ lontane dai vasi sanguigni.
[3] La stragrande maggioranza delle volte in cui parlo con non-ricercatori, mi viene detto che la nostra ricerca va male perche’ abbiamo pochi strumenti, poche attrezzature.