Mi sono imbattuto in un articolo del 2005 scritto da Sean Eddy[1] sul valore dell’interdisciplinarita’ che mi ha ricordato la frustrazione che sento quando rifletto su quanto sia limitativo mettere la ricerca scientifica in compartimenti stagni. Sei un Fisico? Allora devi occuparti di Fisica, e se ti immischi in cose di Biologia potresti dare fastidio ai Biologi, mentre sei deriso, allo stesso tempo, dai Fisici che ti considerano uno che non ce l’ha fatta a fare il suo mestiere, sporcandosi le mani. Sicuramente sto estremizzando, ma questa problematica si presenta davvero quando si cerca lavoro: si e’ segnati dal ‘colore’ della propria laurea, che puo’ valere di piu’ di quanto si sia fatto in seguito, inclusa l’esperienza lavorativa. Io stesso, per formarmi in Biofisica, sono passato prima dalla Fisica Nucleare sperimentale con ‘macchie’ di Genetica e Biofisica, per poi seguire un corso di dottorato in Oncologia Sperimentale e seguire ancora la strada della Biofisica delle radiazioni ionizzanti negli anni seguenti. Non so se presentarmi come fisico, oppure come biologo cellulare, forse anche un po’ molecolare, o magari un bioinformatico? Mi vien meglio pensare che sono un biofisico che guarda la ricerca da piu’ prospettive, e che riesce a conversare con i fisici, i biologi, magari gli oncologi ed i bioinformatici.
Povrebbe essere un vantaggio. Eppure, leggendo l’articolo di Eddy, sembra proprio di capire che il ‘tutto tondo’ individuale sia una figura che rischia di essere scoraggiata. Eddy critica Il National Institute of Health (NIH), il cuore della ricerca biomedica statunitense, perche’ per affrontare i problemi posti dalla scienza biomedica moderna, lo NIH incoraggia i ricercatori a muoversi oltre i confini delle proprie discipline (Fisici, Biologi, etc) ed esplorare nuovi modelli organizzativi formando una scienza di squadra. In altri termini, lo NIH starebbe incoraggiando le interazioni tra gruppi di ricerca costituiti da Biologi con quelli costituiti da Fisici etc. Cito Eddy:
Aspettarsi da un team di ricercatori disciplinari (ovvero ricercatori in discipline ritenute ‘pure’, quali la Fisica etc, NdT) di sviluppare una nuova area di ricerca sarebbe come inviare una squadra di diplomatici monolingue alle Nazioni Unite. Il progresso e’ guidato da nuove domande scientifiche, le quali richiedono nuovi modi di pensare. Bisogna andare dove ci portano le domande, non dove ci ha lasciato la nostra formazione.
Secondo Eddy, insomma, l’interdisciplinarita’ dei singoli individui non deve essere scoraggiata. Secondo questo Blog, e’ impossibile stabilire se l’interdisciplinarita’ individuale e’ piu’ o meno importante della formazione di squadre di lavoro interdisciplinari, perche’ l’una non puo’ prescindere dall’altra.
Vado a rinfrescarmi le idee al mare per una settimana, prima di partire per Praga e partecipare al congresso ERR 2009 A fra qualche giorno, Massimo.
[1] Sean Eddy, Antedisciplinary Science, PLoS Computational Biology, 2005, vol 1(1) ppe6