Ho riflettuto sul viaggio a Stoccolma della scorsa settimana, intrapreso per partecipare all’interessantissimo workshop sul prossimo futuro della ricerca europea in ambito ‘radioprotezione’, ed ho pensato che potrei spendere qualche parola in piu’ sulla motivazione del workshop, sulla natura del problema scientifico che stiamo affrontando a livello Comunitario. Dopo tutto, si tratta di denaro dei contribuenti di tutta Europa.
La normativa di radioprotezione corrente, inclusi i limiti di esposizione del personale medico (si pensi ai radioterapisti, ai radiologi, ma anche ai dentisti, i piloti e gli assistenti di volo, gli astronauti) e la stessa popolazione civile (e’ in crescita l’uso della Tomografia Assiale Computerizzata, TAC) si basa su conoscenze dirette degli effetti dannosi, sull’uomo, di dosi relativamente elevate di radiazioni ionizzanti. L’incidenza di tali effetti dannosi, di natura probabilistica, e’ espressa in stime di rischio aggiuntivo[1] di contrarre un cancro o di sviluppare malattie cardiovascolari in seguito all’esposizione a radiazioni ionizzanti. In larga parte, la nostra percezione del problema del rischio associato alle radiazioni ionizzanti deriva dagli studi sui sopravvissuti ai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, ai lavoratori del nucleare del Techa river, presso i Monti Urali meridionali, al monitoraggio dei lavoratori delle miniere di Uranio, ai casi di cancro derivanti dall’incidente di Chernobyl e di altri incidenti legati alle radiazioni ionizzanti. Per lo piu’, si tratta di episodi in cui le dosi di radiazioni sono relativamente alte, impartite in esposizione acuta (es. ordigni nucleari) o cronica. Che cosa succede invece a dosi piu’ basse, quali quelle che ci vengono impartite ogni giorno dal cibo, dal gas Radon che respiriamo nell’aria, dalle rocce, dalle radiazioni cosmiche, ed a quelle appena un po’ piu’ alte a cui sono professionalmente esposte alcune categorie di persone? In mancanza di evidenze contrarie, e supportata da copiosa evidenza sperimentale, la comunita’ internazionale di radioprotezione ha supposto che il rischio (di cancro, malattie cardiovascolari) diminuisca proporzionalmente con la dose di radiazioni ionizzanti. Minore la dose, minore il rischio: e’ il modello di stima di rischio denominato Lineare senza soglia. Ma non tutta la comunita’ internazionale e’ d’accordo. Recentemente, una commissione Statunitense ed una Francese, esaminando lo stesso problema, sono giunte a conclusioni distinte. Secondo i primi, nonostante i risultati sperimentali in modelli in vitro ed animali, non esiste ancora nessuna evidenza che in Homo Sapiens ci siano deviazioni dal modello Lineare Senza Soglia. Dunque, meglio tenerselo cosi’, suggeriscono loro. L’accademia delle Scienze Francese, invece, basandosi su altrettanto copiosa evidenza sperimentale, ha concluso che il modello lineare senza soglia non tiene conto dei fenomeni della radiobiologia delle basse dosi, e che esisterebbe una soglia al di sotto della quale il rischio aggiuntivo sarebbe nullo. Le implicazioni di queste due ‘raccomandazioni’ sono notevoli: se il rapporto dei Francesi fosse piu’ attendibile di quello Statunitense, staremmo sovra-stimando i rischi delle radiazioni ionizzanti, con una spesa pubblica che potrebbe esser ridotta. Dal punto di vista scientifico, oltre che civile, il tema e’ affascinante. Ispirandomi al lavoro dei miei colleghi, cerchero’ di raccontare qualche dettaglio in piu’ nei prossimi giorni.
[1] Rischio aggiuntivo o excess relative risk per una patologia, causato da un agente patogeno messo sotto esame, rappresenta il rischio (di contrarre detta patologia) che si aggiunge a quello gia’ esistente per altre cause e che risulta in un’incidenza della stessa patologia anche in assenza di esposizione all’agente patogeno in esame. Nel caso del cancro, i casi attribuibili all’esposizione alle radiazioni ionizzanti sono decisamente inferiori a quelli causati da altri fattori, come il fumo nel cancro polmonare.