Una volta bastava la laurea per un posto di lavoro. Per i genitori, il conseguimento di una bella “Laura”, per dirlo alla Edoardo De Filippo, rappresentava la vera garanzia di aver ‘sistemato’ i figli. La laurea di oggi non e’ certo un passe-partout. L’asticella si e’ alzata: il dottorato di ricerca e’ diventato necessario, così come un tempo lo era stata la laurea. Scrive[1] Howy Jacobs che senza un dottorato e’ difficile tentare non solo la carriera universitaria, ma anche quella nella ricerca pubblica, privata, nell’editoria accademica, nell’amministrazione della ricerca scientifica e nell’attuazione delle azioni che fanno contorno alla ricerca scientifica. Sara’ forse anche per questo che qui in Italia si stanno diffondendo i concorsi pubblici per ricercatore in cui il dottorato di ricerca e’ un requisito indispensabile per accedere alla una selezione, non piu’ un elemento di merito facoltativo. Almeno, voglio credere che sia cosi’, ma forse, piu’ banalmente, e’ che non c’e’ nessuno piu’ da sistemare con un posto di ricercatore che non possegga il titolo di dottore di ricerca, perche’ questo in Italia non esisteva prima del 1980). Nella carriera accademica, l’asticella si e’ poi alzata ancora di più’: senza una, spesso due esperienze post-doc (io stesso sono alla mia seconda) non si può diventare ricercatori indipendenti, anche se questo dell’indipendenza e’ un discorso quasi privo di significato in Italia. Ma questa corsa sempre piu’ in alto non e’ priva di conseguenze. Jacobs:
[…] la ricerca scientifica accademica e’ come una vetta verso cui ci sono due scelte: continuare ad arrampicarsi, nonostante le scarse possibilita’ di raggiungerla, o cadere. Piu’ in alto si arriva prima della caduta, piu’ dura sara’ la caduta.
Ricalco il pensiero di Jacobs: visto che in vetta ci arrivano in pochi, occorre ristrutturare il percorso dei post-doc perche’ non si creino eserciti di ex-ricercatori delusi e falliti, oltre ad una manciata di ricercatori eccellenti. E’ uno spreco pazzesco, perche’ le doti che si acquisiscono durante gli anni di formazione scientifica sono tante, ma solo una piccola frazione serve per valutare la produttivita’ dei giovani che desiderano compiere un percorso accademico. Secondo Jacobs occorre rivoluzionare il modo di finanziare i progetti post-doc, e conseguentemente gli stipendi, strutturandone il percorso in modo che i programmi post-doc debbano essere qualificanti anche fuori dall’Accademia. Inoltre, invece che lasciare che il percorso di un candidato post-doc sia determinato da cio’ che il suo capo aveva scritto nel progetto di ricerca che ha generato il finanziamento su cui il giovane e’ stipendiato, il candidato dovrebbe aver partecipato alla definizione del progetto, prevedendo spese per il laboratorio per i suoi esperimenti, magari lo stipendio di un tecnico di laboratorio che lo assista. Bella idea, visto che e’ quello che il post doc dovra’ poi fare quando sara’ indipendente e scrivera’ le sue proposte di progetto di ricerca, ma temo che questo renderebbe il candidato post-doc troppo indipendente per i gusti del suo capo, che non avrebbe tutti i torti a lamentarsi di non riuscire a trovare chi esegua il lavoro che lui (il capo) ha programmato. In Italia siamo lontanissimi da tutto questo, ma e’ bene farci gia’ una riflessione, visto che la nostra ricerca scientifica di base ambisce a somigliare a quella oltre confine.
[1] Howy Jacobs, Postdockin’ in the free world. EMBO reports (2010) 11, 1. 10.1038/embor.2009.259