Stamattina ero a L’Aquila con alcuni colleghi romani, al polo di Coppito, per discutere di ricerca e di prospettive comuni, con altri colleghi del luogo. Mi hanno mostrato le crepe sulle pareti dell’Universita’, ed a terra i calcinacci che sono caduti il 6 aprile 2009 durante la scossa di terremoto che ha devastato quella terra. Impressionante.
Lungi dal confrontare i danni subiti dalla ricerca scientifica con quelli umani che hanno subito i cittadini de L’Aquila, i racconti di questi colleghi Abruzzesi parlano anche di un’altra forma di distruzione. Anni di lavoro buttati via; campioni sperimentali ottenuti con la costanza ed il sacrificio di mesi, anni di lavoro, sono andati perduti perche’ i freezer in cui erano custoditi non avevano piu’ corrente elettrica. Perdite inestimabili, perche’ in alcuni casi riguardavano lavoro intellettuale che non e’ piu’ possibile ripetere. Ed il dolore di dover mandare via gli studenti, cercandogli ospitalita’ presso altre Universita’, per ricominciare il lavoro che avrebbe dovuto portarli presto alla tesi di laurea, o al dottorato, e che invece gli e’ sfuggito via in una notte.
Ma sopratutto, quanta dignita’ in queste persone, che si sono adattate ad andare avanti, in questi mesi scorsi, in condizioni di improvvisazione.