Siamo abituati ad immaginare i riceratori avvolti nei loro camici bianchi, distratti a muovere la loro fantasia in un terreno così poco familiare agli altri. O con i capelli spettinati, seduti ad una scrivania disordinata, con aria smarrita. Eppure, c’è un aspetto del lavoro della ricerca che lo rende molto simile agli altri: i ricercatori devono fare anche previsoni e rendicontazione scientifica. Del resto, sia che si tratti di denaro pubblico, sia di denaro privato, chi finanzia ha ben diritto di sapere se i suoi soldi son spesi bene. Ma non sempre i ricercatori sembrano tagliati per fare previsioni di bilancio, o previsioni di quando raggiungeranno un certo risultato, qualunque esso sia. Non si tratta, non sia mai, di prevedere quale risultato si otterrà, ma quando si sarà sufficientemente sicuri per poter annunciare un risultato. Quante pubblicazioni scientifiche si prevede di riuscire ad avere in stampa (ed entro quando). Roba da brivido. Se occorrerà, verranno eseguite alcune misure in più, così, per escludere il caso. Verrà ripetuto quell’esperimento che non era venuto bene, dal risultato dubbio. Raramente, infatti, gli esperimenti vanno lisci come si sperava, perché un esperimento ha sempre qualcosa di ignoto, e se così non fosse il suo nome sarebbe forse un altro. Ed allora si corre a fare le ore piccole, o i fine settimana a lavorare, per recuperare terreno, perché il traguardo ha continuato ad allontanarsi, proprio mentre la data di ‘consegna’ del risultato si avvicinava. Tutto questo mentre si giura, con un’espressione affaticata sul viso, che la prossima volta si farà in modo di prevedere una certa percentuale di esperimenti falliti, si terrà conto che alcuni macchinari potranno guastarsi…buoni propositi che verranno puntualmente dimenticati, diabolicamente, alla prossima stesura di progetto, quando si tornerà a fare i sognatori.