Nelle ultime settimane mi sono imbattuto in un episodio di peer review in cui un (dattilo)manoscritto preprarato insieme ad i miei colleghi di gruppo e’ stato giudicato positivamente, in tempi un po’ troppo lunghi, praticamente senza alcuna correzione alla versione inviata. E’ possibile che l’articolo sia piaciuto molto ai revisori ed all’editore, ma anche che non l’abbiano criticato approfonditamente. In un epoca in cui i meriti della ricerca scientifica ed annessi fanno numero, ovvero promozioni, assunzioni, finanziamenti, c’e’ una moltitudine di colleghi che ritiene che anche chi fa dei buoni referaggi debba avere i suoi meriti. E chi ne fa di scadenti, debba averne corrispondemente di meno. La maggior parte delle riviste che facciano uso di peer review per pubblicare risultati originali di ricerca scientifica non rivelano l’identita’ degli arbitri, o dell’editore che ha preso in carico la valutazione dei manoscritti. Il mantello dell’invisibilita’ indossato dai revisori ha effetto sia sugli autori del manoscritto sui suoi lettori. Ma perche’ tanta segretezza, altrimenti nota come anonimato? Un referee dovrebbe sentirsi libero di raccomandare il rigetto di un manoscritto, se lo ritiene inadeguato, incompleto, non meritevole di essere pubblicato. Non conoscere il nome dell’arbitro, secondo questa pratica, lo metterebbe in salvo da eventuali ‘vendette’. Rigetto per rigetto, dente per dente, infatti. Le ragioni a favore dell’anonimato degli arbitri sono molteplici e certamente io non le conosco tutte. C’e’ pero’ chi crede anche che, se i nomi degli arbitri fossero resi noti a tutti, il loro giudizio sarebbe piu’ accurato. Si puo’ confrontare questo panorama con un noto a molti: cosa succederebbe se l’arbitro ed i guardalinee di una partita di calcio fossero mascherati? Se negativo (in quel caso i lettori non lo conosceranno, ma gli autori si) il giudizio di un referee scientifico ‘allo scoperto’ sarebbe forse piu’ sostanziato, con tutti i commenti negativi debitamente dettagliati. Sotto il mantello, invece, il referee potrebbe commettere delle inesattezze, o magari delle scorrettezze, proprio verso quegli autori, sospetterebbe lui, che gli hanno rigettato un manoscritto solo pochi mesi prima. Si puo’ argomentare, insomma, che arbitri anonimi possano creare piu’ disordine e peggiori giudizi di arbitri smascherati. Ed allora appare interessante l’approccio delle riviste della serie Frontiers, tra l’altro anche Open Access:
L’identita’ dei referee, che restano confidenziali nel corso del processo di peer-review, sono rivelate all’atto della pubblicazione dell’articolo ed i revisori sono ringraziati per il loro lavoro e per il loro contributo alla pubblicazione.
Peccato, forse, che i nomi dei referee vengano resi noti solo se il lavoro viene accettato dalla rivista, e cioe’ solo quando il loro giudizio e’ stato positivo. Dubbioso sull’identita’ degli arbitri dell ultimo lavoro pubblicato, ne festeggio comunque l’arrivo.