In una democrazia un po’ lontana dalla nostra, alcuni tipi di reato sono giudicati, oltre che da un Magistrato, anche da una Giuria, composta dai cittadini. Trasponendo questo modus operandi alla ricerca scientifica ed alla valutazione dei suoi risultati, il giudizio dovrebbe essere emesso non soltanto dai ricercatori, ma anche dal resto della cittadinanza. Questo sarebbe impraticabile: la ricerca scientifica spinge in avanti le frontiere delle conoscenza, e non è attendibile pretendere che tutti la possano comprendere. Viceversa, nella vita quotidiana ed in alcuni suoi aspetti, il senso comune può esser d’ausilio per chi deve giudicare un reato. Ma l’idea di chiedere ad un non-esperto non è poi così peregrina. Mike Fowler, l’autore del blog Theoretically Speaking sul Nature Network, auspica in un post che un manoscritto scientifico sia sempre giudicato, oltre che dagli ‘espertissimi’, anche da qualche ricercatore con esperienza diversa. Non tanto affinché il messaggio sia comprensibile ad individui dalla conoscenze più disparate (perché, come scrivevo poco più su, potrebbe non esser strettamente necessario), quanto per evitare che le discipline scientifiche procedano come i compartimenti stagni in cui, in ciascuna scatoletta, si re-inventa la ruota che era già stata inventata da altri. Per quanto possa sembrare assurdo, queste cose accadono davvero. Nel 1992, nella disciplina della radiobiologia, si è ‘scoperto’ che il danno da radiazioni ionizzanti si può propogare a cellule mai esposte alla radiazione, ma adiacenti quelle danneggiate direttamente dall’esposizione alle radiazioni. La ragione addotta, ed oramai molto studiata, è che le cellule ‘si parlano’. Quando i radiobiologi raccontano questa scoperta ai colleghi fisiologi, istologi o biologi cellulari, questi li guardano come se davvero avessero scoperto l’acqua calda.