Massimo Pinto

Ma davvero li vogliamo i concorsi?

19 Nov 2008

Siamo tempestati, dalla stampa estera, di commenti negativi alla nostra struttura di progressione di carriera accademica, basata sui concorsi pubblici per titoli, esami e colloquio. Siamo accusati di cronismo e di nepotismo[1].

Difficile dargli torto. Quando si partecipa ad un concorso pubblico, in Italia, prendo come esempio il caso del profilo di ricercatore, non e’ chiaro perche’ debbano volere proprio te. Ti vengon fatte delle domande, agli esami scritti (quando sono previste prove scritte) ed agli orali, ma mi sembra, dalle poche esperienze gia’ fatte, che ci sia poco spazio per cio’ che tu potresti volere aggiungere a quell’Istituto, quali idee nuove potresti portare. La preoccupazione di breve e medio termine sembra essere quella di riempire una casella, la cui forma e’ stata gia’ piu’ o meno determinata. Ma…un conto e’ chiedere una nuova unita’ di personale per soddisfare le esigenze di un Istituto, altro invece e’ percepire di dovere e volere espandere la propria attivita’, e cercare l’offerente della migliore idea, la piu’ promettente, che meglio si innesti nelle attivita’ gia’ esistenti ma non sia la stessa. Senno’ che innovazione c’e’? Con questo sistema “guidato dal candidato” non vincono gli individualisti, ma vincono quelli con le migliori idee e che dimostrano attitudine nel lavoro di gruppo, cooperativo. Il vincitore, dunque, e’ un vero decathleta della ricerca.

Bene. Questo sistema di selezione di candidati “brillanti” ed “empatici” e’ stato il motore della ricerca Britannica, Statunitense, Canadese. Non posso generalizzare ad altri paesi perche’ non dispongo di informazioni dirette. Tuttavia, con la crescita dei laureati e detentori di PhD con ambizioni di carriera accademica, si e’ capito oramai che la strada del tenure track[2] e’ diventata estremamente competitiva. Alcune Universita’ non l’offrono nemmeno: fino a che il ricercatore possiede finanziamenti, procurati attraverso agenzie esterne, e’ benvenuto a soggiornare. Ma se perde i fondi, perde anche il lavoro, il suo laboratorio, lasciando allo scoperto anche tutto il suo staff. Anche se molti sono disposti a seguire questo tipo di percorso, chiamato “in residence”, e’ pericoloso per chiunque apprezzi il concetto di “famiglia”. Direi anche poco onorevole, perche’ se sei innamorato della ricerca scientifica, e’ bene che lo sia anche lei di te: se qualcosa un giorno ti andra’ male, e puo’ capitare anche ai piu’ brillanti, non vorrai che lei ti volti le spalle, lasciandoti a terra.

Insomma, il tenure-track rappresenta un’opportunita’ per pochissimi, e la carriera in residence e’ piena zeppa di rischi. Che possibilita’ avrebbe l’Italia in alternativa ai concorsi pubblici? Sarebbe opportuno percorrere la strada che altri hanno gia’ percorso, brillantemente, sapendo gia’ che potrebbe portarci ad una depressione, qualche tempo piu’ in la’? E’ come in una regata di vela. Chi sta in testa alla gara sta pensando alla strategia per la prossima boa. Noi, gia’ indietro, adottando il vecchio modello degli altri non cambieremmo neppure strategia. Difficile credere che il nostro distacco diminuirebbe.

Un’idea, lanciata sul web, e’ modificare il percorso tenure-track, in modo che nessuno si possa sedere mai sugli allori (di contro, nel Bel Paese, non esiste sostanzialmente nessun modo di licenziare un ricercatore o un professore inefficiente). Ogni anno, il professore potrebbe essere giudicato per la sua resa in 1) insegnamento, 2) pubblicazioni, 3) finanziamenti, 4) servizio istituzionale e 5) dedizione all’innovazione. E se il giudizio dovesse essere negativo per un paio di anni di fila…via. Avanti un altro. Non farebbe certo piacere ai 99 Posse, che cantavano Voglio ‘o salario garantito

[1] Un po’ di riferimenti. The Economist, 13 Novembre 2008. Nature, Editoriale, 13 Novembre 2008. Sullo stesso numero, una lettera scritta dalla rete Nazionale dei Ricercatori Precari La Repubblica, per chi e’ in fuga, offre anche la possibilita’ di raccontare la propria storia. Splendida, a questo proposito, la riflessione di Marco Cattaneo su Made in Italy

[2] Tenure Track. Fase della Carriera Accademica alla quale di accede tramite competizione, in cui si valutano il curriculum, le lettere di referenza, la filosofia di insegnamento ed un progetto di ricerca. Si entra come “Assistant Professor” in prova, per 5-7 anni, alla fine dei quali, previa valutazione della produttivita’ scientifica, si effettua la transizione alla tenure (posto fisso), in qualita’ di Associate Professor. Ne parlai ad un convegno un anno fa, mettendo poi online le diapositive

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