Massimo Pinto

Quando bisogna esser duri...

02 Dec 2008

Un carissimo collega, recentemente, e’ stato contattato da una rivista scientifica per servire da arbitro (referee) per un manoscritto che era stato inviato alla rivista perche’ vi fosse pubblicato. Considerando che parte dell’articolo riguardava la radiobiologia, il mio collega mi ha chiesto di dargli una mano, su quel pezzetto li’. Quindi, ho studiato l’articolo ed ho scritto il mio referto[1]. Pensavo di esserci andato piuttosto pesante, ma il mio collega mi ha fatto notare che, considerata la bassa qualita’ del manoscritto, almeno nella parte in cui lui aveva maggiori competenze per essere critico, forse ero stato fin troppo morbido. Non so poi come sia andata a finire, cioe’ se l’editore della rivista, basandosi sui commenti di tutti i referees, abbia accettato il manoscritto o l’abbia respinto.

Poche settimane dopo mi ha contattato una rivista per cui ho servito da referee gia’ in passato. Avrei preferito svignarmela, oberato da altre scadenze per impegni gia’ presi, cosi’ ho provato a passare la palla ad un collega all’estero. Lui mi ha risposto…che la rivista aveva gia’ contattato anche lui per chiedergli parere, sullo stesso articolo. Strano… non ero il solo a pensare a lui come buon referee per quel manoscritto. Ed allora…abbracciamo anche questa croce, ho pensato, accettando l’incarico. Il manoscritto che avrei dovuto valutare conteneva delle parti su cui mi sentivo piuttosto arrugginito, cosi’ ho chiesto ad un mio collega di darmi una mano proprio su quella parte, riconoscendo ufficialmente, davanti all’editore, il suo contributo. Ebbene, l’articolo aveva delle grosse lacune, e nella nostra revisione congiunta abbiamo fatto notare tutte le nostre preoccupazioni. Pochi giorni dopo la consegna del nostro referto di arbitraggio e’ arrivata la lettera dell’editore che ci ringraziava per il lavoro svolto con tanta cura (e questo, per quanto mi riguarda, vale piu’ del denaro), e ci informava che l’articolo era stato rifiutato dalla rivista. Non verra’ pubblicato. Come di consueto, l’editore ci ha anche mostrato la lettera-referto dell’altro arbitro (probabilmente, il collega all’estero, che avevo cercato all’inizio per scaricare a lui la responsabilita’, ma non posso esserne certo perche’ i referee sono anonimi), anche questa piuttosto critica del manoscritto.

Insomma, anche se ho fatto da arbitro gia’ molte altre volte, questa volta, ed e’ la mia prima volta, ho contribuito al rigetto di un manoscritto. Sensi di colpa…gli autori saranno rimasti delusi…i loro curricula non avranno quella “riga in piu’”. Ho/abbiamo fatto bene? Si, e che nessuno se la prenda a male. La pubblicazione dei risultati della propria ricerca costituisce un obbligo morale verso la comunita’ scientifica e verso la societa’ tutta. Se il lavoro fa acqua, se i risultati non supportano le conclusioni, oppure, se il design del lavoro e’ fallace… occorre fare di meglio, prima di arrivare alla pubblicazione. Chi studia un articolo gia’ pubblicato non puo’ permettersi di dubitare che il lavoro sia ‘sbagliato’.

A lenire i miei sensi di colpa, comunque ancora tangibili, e’ giunta la lettura di un articolo scritto da S. Wiley su The Scientist proprio sul tema della peer-review e del rigetto.

…quando si contribuisce, inavvertitamente, a creare problemi nel processo del peer-review, e’ di solito perche’ ci si sta comportando in modo troppo permissivo, piuttosto che quando si e’ troppo critici.

…i buoni referees impiegheranno il loro tempo per analizzare i progetti di ricerca (o i manoscritti) piu’ scadenti, cercando di fornire criticismo costruttivo che possa portare ad un miglioramento.

Grazie Wiley, mi sento piu’ leggero. Gli autori di quel manoscritto hanno ora dei nuovi strumenti per migliorarsi.

[1] Mi preme ricordare che per queste attivita’ di referaggio non si vede un singolo mezzo euro bucato. E’ un’attivita’ che fa parte del proprio mestiere, un servizio dovuto alla ricerca. Non e’ retribuito. Quando lo spiegai a mia madre, non ci pote’ credere.

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