Massimo Pinto

Si fa presto a dire precario

06 Feb 2009

Il numero di Nature di ieri, 5 Febbraio, pubblica un articolo[1] sul precariato all’anglosassone, quello dei ricercatori che sono gia’ leader di se’ stessi e del proprio laboratorio, ma che in tempo di magra di finanziamenti non riescono ad assicurarsi i fondi per la ricerca e sono costretti ad appendere il camice al gancio, lasciando il laboratorio. Negli ultimi mesi avevo gia’ letto altri articoli di questo genere, sempre centrati intorno a storie di ricercatori con un nome e cognome, dei loro fallimenti nei loro quarant’anni o piu’, con tutto cio’ che la loro destabilizzazione puo’ comportare sulle loro famiglie. L’aspetto nuovo che noto in questo articolo di Nature e’ il commento di una delle intervistate, la prof. Kelley (59 anni) della Columbia University. La Kelley racconta di come la sua proposta di progetto di ricerca sia stato bocciata, essendo solo appena sotto la soglia di punteggio minimo per esser finanziato. Il valore di questa soglia si e’ alzato molto negli ultimi anni, rendendo la competizione molto piu’ dura. Nei momenti piu’ difficili, solo il 10% dei progetti presentati riesce ad ottenere il finanziamento[2]. Qualche anno fa, con il suo punteggio, la Kelley ce l’avrebbe fatta, ma con la crisi economica i fondi per la ricerca non sono cresciuti in proporzione alle necessita’. Ma c’e’ dell’altro. Chi chede il finanziamento per la prima volta riceve un trattamento piu’ dolce, non nel giudizio, quanto nella quota messa da parte per i novelli aspiranti leader, tale che i finanziamenti sono elargiti ai progetti che ricadono nel 25% percentile piu’ alto. Questo da’ piu’ respiro ai giovani aspiranti leader, i quali sono gia’ sotto la forte pressione dei primi anni del tenure track, quando ottenere un finanziamento per la ricerca e’ requisito fondamentale per il mantenimento della loro posizione e per la loro promozione. Ma quest’orecchietta messa per il budget riservato ai piu’ giovani prosciuga quello destinto ai meno giovani, ed ecco che la Kelley, pur con un punteggio eccellente, si e’ trovata a dover mollare tutto. Nelle sue parole, e’ sicuramente corretto dare questo tipo di aiuto ai ricercatori piu’ giovani, ma la sua situazione e’ un perfetto esempio di ‘conseguenze non dediderate’. Considerando che la Kelley dirige un programma di formazione (di studenti) in neuroscienze, che ha contribuito al lancio di decine di ricercatori di successo, eliminarla significa intereferire con il programma formativo. Riassumerei con un ‘Largo ai giovani…o forse no?’

Arriva pero’ una buona notizia che dara’ un po’ di respiro al questi ricercatori. Il 3 Febbraio il Senato Americano ha approvato il pacchetto di stimolo alla ricerca con fondi statali (USA). 6.5 miliardi di dollari in piu’ allo NIH, il National Institute of Health, spina dorsale dei finanziamenti alla ricerca USA in ambito biomedico. Ci sono cresciuto anche io con quei finanziamenti. Adesso manca solo la firma di Obama.

[1] Closing Arguments, Nature 475, 5 Feb 2009, pp 650-655

[2] E’ interessante confrontare queste cifre, gia’ preoccupanti, con quelle del bando Ministeriale 2008 per i ‘giovani ricercatori’, under 40, in cui solo 26 progetti sono stati finanziati, dei 1,720 pervenuti. Se la mia calcolatrice non e’ rotta, il valore e’ 1.5%. Quando l’ho raccontato ai Canadesi, la settimana scorsa, erano sbalorditi. Si sono limitati a commentare con un ‘che senso ha gareggiare?’

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