Massimo Pinto

C'era una volta il concorso finto

26 Mar 2009

Maggio, giardino dell’Aspromonte Research Center. Corre l’anno 2035. Ester Ofila mangia un gelato con il suo amico Libero Mobile.

Ester Ofila: Vista la bacheca degli annunci di lavoro? Ci sono diversi incarichi di ricerca, inclusi alcuni posti per Professore Associato, piu’ quello di Dirigente del centro di Bioinformatica.

Libero Mobile: Si, quello per il Dirigente lo avevo gia’ letto su Nature la scorsa settimana. Immagino si presenteranno in tanti dall’estero. Spero che qualcuno Italiano, magari proprio di qui, sia competitivo anche nella fase finalissima.

EO: Lo sapremo tra poche settimane, dopo i seminari pubblici dei candidati, quelli che seguono la valutazione internazionale.

LM: Forti quei seminari! Lo scorso mese un candidato per un posto di Young Research Leader fu messo al muro da un dottorando, che gli aveva fatto notare come l’ipotesi centrale del suo progetto di ricerca fosse poco credibile. La critica fu tosta e non credo che quel poveretto abbia fatto una bella figura. Il Consiglio Accademico potrebbe aver tenuto conto di quella critica, cosi’ ben posta. E mi sa che avranno anche bacchettato i revisori stranieri…

EO: Notevole…

LM: Cosa?

EO: Che durante un seminario pubblico, uno studente possa determinare se perderai il posto…

LM: Non ci vedo niente di strano. Che vuoi dire?

EO: Ma tu sei proprio un ingenuo… Certo che hanno ragione quando dicono che chi non conosce la storia dovrebbe riviverla. Ma tu hai mai sentito parlare dei concorsi pubblici per posti di ricercatore e prof?

LM: Eccola qui…arriva la solita saputella…

EO: Sfotti sfotti…intanto qualcuno ha lottato perche’ i concorsi pubblici sparissero; tu sei qui a goderne i benefici e non capisci nemmeno quanto sia fortunato. Evidentemente non hai mai partecipato ad un concorso finto.

LM: Nemmeno tu!

EO: Ovvio che no, ma mio padre partecipo’ a piu’ di uno, e si trovo’ anche in Commissione Concorso, minacciato di comportarsi bene e non contraddire le decisioni del Presidente. Anni fa se ne vedevano delle belle. Non contava quello che potevano pensare di te i colleghi piu’ forti del settore, quelli che oggi tu immagini siano in Malaysia, che so, o nelle Universita’ del Kazakhstan. Non c’era alcun modo perche’ gli si potesse dar voce. Non contava quanti articoli tu avessi pubblicato, i servizi prestati in riviste e commissioni di associazioni, i premi che avevi ricevuto, le relazioni che avevi dato su invito…

LM: Si vabe’…mi stai dicendo che se sapevi cucinare bene il pesce spada avevi piu’ chance di vittoria…

EO: Spiritoso…dipendeva poco da te e molto da chi ti sosteneva, lo staff permanente all’interno dello stesso laboratorio/ente in cui tu stavi cercando di entrare. Se il tuo protettore era potente e tu gli piacevi, allora qualche opportunita’ l’avevi. Ma tu te l’immagini la frustrazione di chi si presentava a questi concorsi con la speranza di vincerli?

LM: Ma io ‘sta cosa non l’ho mica mai capita. Come facevano ad occultare un buon curriculum?

EO: Lo dico io che sei ingenuo! Scrivevano le regole del concorso in modo che contasse poco quello che c’era nel tuo CV. In alcuni casi, di fronte a dei candidati scomodi, scrivevano le regole della selezione in modo che questi fossero penalizzati, che gli tagliassero le gambe. Magari regole scritte in modo che le cose che aveva fatto in passato non erano pertinenti la selezione in corso…un modo lo trovavano sempre per favorire chi volevano. C’erano delle eccezioni, piuttosto rare per la verita’, e venivano portate come esempio della regolarita’ del sistema. Mah.

LM: Cosi’ si premiava chi era stato meno mobile e piu’ asservito!

EO: Bravo, vedo che il gelato ti ha rimesso in funzione le sinapsi. Torniamo a lezione, va’…

Riproduzione autorizzata di un articolo originariamente pubblicato sulla rivista online Galileo. Il copyright di questo materiale è di proprietà di Galileo Servizi Editoriali.