Massimo Pinto

Voi ricercatori ritardate le vostre scoperte per interessi economici

02 Apr 2009

In Che ora è, di Ettore Scola, Marcello Mastroianni, il papà di Michele (Massimo Troisi), fa visita al figlio in servizio di leva militare a Civitavecchia, durante una giornata di licenza. Padre e figlio sono insieme al porto, davanti ad uno specchio d’acqua in cui sta transitando un peschereccio. Sulla barca ci sono degli amici di Michele che, urlando, gli ricordano della prossima partita di calcetto. Mastroianni interviene chiedendo al pescatore se è vero che portano il pesce congelato al largo, attendono che si scongeli, per poi rivenderlo al mercato spacciandolo per fresco. Il pescatore resta basito ed il silenzio viene rotto da Michele che scusa il padre per la sparata poco opportuna.

Ai ricercatori (di biomedicina) accade una cosa simile quando vengono accusati di ritardare o comunicare in modo distorto le loro scoperte per interessi economici della grandi aziende farmaceutiche. Con il sinistro ragionamento si sostiene che, scoprendo le cause di una malattia, non ci sarebbe più bisogno di curarla e, dunque, addio profitti delle aziende farmaceutiche. E’ capitato pure me, e rimasi tanto basito quanto il pescatore amico di Michele in Che ora è. Per ciò che vale il mio parere, trovo inaccettabile cambiare i propri risultati per richiesta di chi finanzia il proprio lavoro. Le misure dicono sempre la loro, sia che ci piaccia o no. Si può ritenere di doverle rigettare, ma mai per cause dettate da un interesse. Per questa ragione si esce (quasi) sempre a cuor leggero anche da un risultato scientifico poco sperato. Ciò vale certamente per tutta la popolazione dei ricercatori…meno qualcuno. Accade infatti ogni tanto che qualcuno faccia il furbetto ed ometta qualcosa, oppure alleggerisca o appesantisca le parole, per non mettere in cattiva luce chi gli ha dato i soldi per la sua ricerca. Ne ha parlato The Economist questa settimana, a proposito di un lavoro pubblicato su JAMA[1] in cui si minimizzava sulla scarsa performance di un farmaco di produzione dell’azienda che sembrava avere corrisposto dei compensi ad uno degli autori del lavoro.

Probabilmente queste cose succedono, ma in modo isolato. Non credo ad una teoria della cospirazione. Forse accadono anche in Italia, perché no? Con i stipendi così bassi, quelli della ricerca scientifica, l’offerta di una ‘mazzetta’ potrebbe anche risultare interessante…oopss! Meglio smetterla. Già sento puzza di pesce scongelato.

[1] The Economist, Pity the Messenger, 26 Marzo

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