Massimo Pinto

Dù sistemi is meglio che uàn?

13 Apr 2009

Il progetto di ricerca che ho preparato per partecipare alla gara rivolta ai giovani ricercatori “under 40”, per ottenere fondi per la ricerca messi a disposizione dal Ministero della Salute, riguarda gli effetti tardivi della radioterapia del cancro. Da grande vorrei infatti studiare i processi che potrebbero essere associati con l’insorgenza di secondi cancri, molti anni dopo la radioterapia che curò dal primo tumore. Tuttavia proprio a causa del primo trattamento radiante che, senza desiderarlo, seppure consapevolmente, avrebbe impartito una dose di radiazioni piccola, ma non completamente trascurabile dal punto di vista dei rischi di effetti tardivi, potrebbero comparire secondi cancri nei tessuti che all’epoca del primo trattamento erano sani, ma che ebbero la sfortuna di essere intercettati dai fasci radianti. Nel mio progetto di ricerca ho dovuto descrivere il modello sperimentale in cui effettuerei questo studio, se fosse finanziato. Per renderlo più simile al contesto dei tessuti sani, ho previsto di mettere in coltura, in un sistema tridimensionale, delle cellule epiteliali, quelle che assolvono a compiti specifici di un dato organo, insieme a fibroblasti, cellule del mesenchima, di sostegno, sia dal punto di vista stutturale sia da quello funzionale. Non è certo una cattiva idea, se si considera che i tessuti sono costituiti da più tipi di celllule con complesse interazioni. Sempre per il progetto di cui alla gara, alcune delle tecniche che ho previsto di adoperare mi consentirebbero di effettuare misure specificamente in cellule epiteliali e fibroblasti, anche se queste crescono insieme. Con altre tecniche, come pure i cDNA microarray che sto già adoperando per l’esperimento Silenzio Cosmico, per misure di espressione genica, potrei effettuare solo misure sull’espressione media dei due tipi di cellule, senza distinzione tra ciò che accade alle une o alle altre. Cerco di spiegarmi meglio con un esempio: se l’attività delle cellule epiteliali fosse associata al colore rosso e quella dei fibroblasti al colore giallo, non potrei misurare distintamente le sfumature di rosso e quelle di giallo, ma dovrei “accontentarmi” di misurare solo le sfumature di arancione, prodotto, appunto, dal giallo ed il rosso messi insieme. Ho temuto che questa potesse essere una limitazione, e probabilmente lo sarà. Ma un articolo pubblicato sul numero di Aprile di Seed[1] mi incoraggia a pensare che queste misure ibride, in un contesto “collettivo” e forse più realistico, possono portare a risultati inattesi. Seed parla del corpo umano come una collettività di cellule umane e batteriche, in cui le seconde sono dieci volte più numerose delle prime. Separare l’uomo dai batteri è un approccio riduzionista, su cui si basa anche la medicina moderna, ma è importante comprendere che i due sistemi sono in simbiosi e che il comportamento dell’uno non può prescindere da quello dell’altro. Evidentemente, secondo questi approcci integrativi, contrapposti a quelli riduttivi, viene riconosciuto che uno+uno fa più di due. dù sistemi is meglio che uàn.

[1] The Body Politic, Seed Aprile 2009, pp 55-60

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