Massimo Pinto

Basse dosi ed ipersensibilità chemio-radio

15 May 2009

Ieri sono stato all’ENEA alla Casaccia per una giornata di studi sulle radiazioni ionizzanti dal punto di vista dei radioprotezionisti, dei radioterapisti ed i radiobiologi come me. Si è parlato anche di basse dosi, l’argomento su cui lavoro qui a Roma e su cui già lavoravo negli USA.

C’è stata una presentazione che mi ha insegnato cose nuove e che vorrei raccontarvi. Breve premessa. Qualche anno fa, un gruppo di ricercatori di Londra, amici con cui condividevo pedalate, pause caffé e piacevolissime chiacchierate, si dedicarono anema e core alla ricerca sul fenomeno della ipersensibilità alle basse dosi di radiazioni ionizzanti. Peter, Mike, Brian, Brad, Susan ed altri pubblicarono svariati articoli sulle maggiori riviste del settore, tra la metà degli anni ‘90 e l’inizio di questo secolo. Scoprirono che le cellule umane (e non solo) in coltura morivano più facilmente se irraggiate con basse dosi (inferiori a 0.5 Gy, più basse dunque dei 2Gy che tipicamente vengono impartiti in una tipica seduta di radioterapia) rispetto a ciò che ci si aspettava dalla loro risposta alle dosi maggiori. Il fenomeno fu battezzato ipersensibilità alle basse dosi (HRS) ed era già stato descritto da John Calkins, qualche anno prima, in un sistema cellulare più semplice. Si tratta di uno di quei fenomeni che sono stati visti solo alle basse dosi e che sfuggono alle previsioni della concezione classica dell’origine del danno biologico da radiazioni ionizzanti, secondo cui tutto si spiega a partire dal danno al DNA. Maggiore danno al DNA, più effetto. Ebbene, questo non è del tutto esatto alle basse dosi. Senza dilungarmi troppo, devo dirvi che il fenomeno sembrava molto promettente perché era quasi esclusivo delle cellule tumorali, quelle che stanno duplicandosi, mentre la maggior parte delle cellule dei tessuti sani è in stato di quiescenza. Dunque, somministrando dosi di radiazioni piccole, ma più spesso del solito regime di frazionamento, si poteva sperare di sterilizzare il tumore in modo più selettivo, causando anche meno effetti sui tessuti sani. Basse dosi ed iperfrazionamento: una gran bella speranza, almeno per alcuni tipi di tumori, come quelli della regione testa-collo. Purtroppo, la traslazione ai test clinici di questo fenomeno, visto in coltura, ha mostrato più problemi di quanto ci si potesse aspettare ed i risultati sono stati modesti. La novità, almeno per me, del seminario di ieri riguardava la combinazione dell’uso di basse dosi di radioterapia con un regime di chemioterapia. In questo caso si avrebbe un effetto sinergico: la radioterapia fungerebbe da sensibilizzante per la chemio. Come radiobiologo ho sempre pensato valesse il contrario, ma forse è solo una questione di forma; ognuno tende a mettere il proprio oggetto di studio al centro dell’attenzione. Il risultato è quello che conta: quelle basse dosi di radiazioni, da sole, fanno pochino. La chemio, anche lei, a volte fa pochino, sopratutto quando il tumore sviluppa una resistenza al trattamento. Ma la combinazione di chemio con quelle basse dosi di radioterapia, qui è la novità, crea della condizioni ideali per sensibilizzare il tumore, che altrimenti risponderebbe male a ciascuno dei due trattamenti somministrati da soli. Un articolo sul tema è in corso di stampa su International Journal of Radiation Oncology Biology Physics, scritto da Valentini et. al. Da tenere d’occhio.

Bibliografia essenziale Low-dose hyper-radiosensitivity: past, present, and future, Marples and Collis, Int J Radiat Oncol Biol Phys, 2008 vol. 70 (5) pp. 1310-8

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