Massimo Pinto

Cosa farò da grande?

09 Sep 2009

La stampa ci propone la copertura del diverbio accesosi tra le nostre Universita’ ed il Ministro Gelmini in tema di prove scritte ai concorsi pubblici per posto di ricercatore. Prove scritte si, prove scritte no. Come se il problema della nostra mancata eccellenza fosse dietro una prova scritta. Il diverbio si e’ anche centrato sul numero di pubblicazioni scientifiche massimo (o minimo) presentabili in un concorso. Un articolo apparso ieri su Il Giornale racconta, con un esempio, le motivazioni dietro queste scelte.

Fintanto che esisteranno i concorsi pubblici, e’ fatica sprecata discutere di qualsiasi dettaglio relativo a prove scritte, orali, formazione delle commissioni. Probabilmente ci vorrebbe una radicale revisione del contratto collettivo nazionale dei lavoratori del comparto ricerca. Del resto, i concorsi si fanno solo in Italia. Guardandosi intorno, oltre confine, si possono scorgere numerose possibilita’ per disegnare una strategia di svolta. Non c’e’ nemmeno bisogno di andare a finire negli Stati Uniti, dove il mercato del lavoro e’ cosi’ diverso da quello nostro. Prendiamo ad esempio la Germania, che certo non e’ l’Italia, ma non e’ neppure gli USA. Volker Dötsch, in un articolo pubblicato su EMBO[1], scrive che la carriera tedesca dei giovani aspiranti professori universitari e’

sostanzialmente un contratto tra un professore piu’ anziano ed un giovane ricercatore. Sebbene il principio di questo sistema sia quello di guidare il giovane ricercatore verso il completamento della sua indipendenza, in pratica e’ stesso stato spesso abusato.

Il confronto con le nostre Universita’ e’ immediato (magari da noi non c’e’ neppure, abilmente, il contratto di cui scrive Dötsch). Vediamo allora come stanno affrontando questo problema da quella parti. Pochi anni fa introdussero un nuovo percorso professionale, quella del Junior Professor, piu’ snello e trasparente della vecchia habilitation, appesantita dai problemi che denuncia Dötsch. Ma si sono gia’ resi conto, in Germania, che questa non puo’ essere l’unica soluzione. Inutile offrire un gruzzoletto di denaro per sostenere la carriera di pochissimi giovani aspiranti professori: saranno solo una minoranza. Tornando in Italia, inutile sbandierare le proposte per fare rientrare i cervelli con dei gruzzoletti per lasciargli fare ricerca in Italia, perche’ senza un programma per lanciarli e sostenere la loro indipendenza oltre il periodo previsto per il finanziamento (diciamo 3-5 anni) alla fine si troveranno tutto il vecchio sistema contro. E dovranno vedersela con i precari interni, incazzatissimi con loro, oltretutto.

La proposta di soluzione tedesca e’ piuttosto sorprendente: liberalizzazione del programma di ricerca delle universita’ ed incoraggiamento a formare centri di eccellenza in cui, proprio perche’ si vuole perseguire l’eccellenza, sara’ naturale cercare di selezionare chi eccelle. Sempre Dötsch:

Le Universita’ formano nuovi istituti, di solito, perche’ vogliono creare nuovi programmi di ricerca oppure nuove strutture organizzative che non e’ facile realizzare entro i confini delle strutture gia’ esistenti in Dipartimenti ed Istituti. Il ‘Frankfurt Institute for Molecular Life Sciences’ e’ stato creato con l’intenzione di realizzare entrambe le cose: non solo espandere nuove area di ricerca nel campo dei complessi macromolecolari, ma anche stabilire nuove strutture e procedure organizzative. E’ qui, nel cuore delle strutture organizzative, il luogo dove la rivoluzione accademica tedesca sta per aver luogo.

Autonomia universitaria, diritto allo studio. Cervelli in fuga, concorsi bacati. Che cosa vuole fare da grande l’Italia?

[1] Volker Dötsch, On track to Tenure Track, EMBO reports 10, 936 - 937 (2009)

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