Massimo Pinto

Nella giungla delle "omics"

02 Mar 2010

Sembra sia giunto il momento dello epigenoma, la mappatura dei modi in cui viene adoperato il genoma. Statico, uguale in tutte le cellule di un organismo, il genoma puo’ esser visto come un libro-progetto per il funzionamento di tale organismo, senza istruzioni che ci dicano quali pagine occorre leggere per fare questo o quello. In prima approssimazione, il genoma e’ un po’ come un grosso tomo senza indice analitico: pieno zeppo di informazioni, ma scorrendolo non sai quali ti serviranno. L’epigenoma prova a spiegarci qualcosa in piu’: intende mappare tutte le modifiche che possono essere adottate sul genoma per renderlo utilizzabile in una data sua area, oppure silente in un’altra area. Ed allora l’epigenoma potra’, forse, spiegarci perche’ un neurone fa cose diverse da un macrofago, pur avendone lo stesso genoma. Si spera che sara’ possibile anche conoscere l’epigenoma delle cellule tumorali, quelle della prostata, come quelle del polmone.

Benvenuto all’epigenoma allora, ma io, confesso, sono sempre piu’ confuso. Da quasi un anno cerco di studiare le variazioni del trascrittoma indotte da basse dosi di radiazioni ionizzanti. Nel trascrittoma c’e’ l’intera collezione dei ‘messaggi di istruzione’ che sono stati scritti dal ‘libro mastro’, il genoma, affinche’, salvo altre discrezioni, venga prodotta questa o quella proteina. Il trascrittoma cambia, oltre che in funzione del tipo di cellula che si osserva, con il trattamento cui la si sottopone. Dal trascrittoma si puo’ provare a comprendere, se non si impazzisce prima, in quale processo biologico si impegnano le cellule quando sono sottoposte ad un certo trattamento. C’era molto entusiasmo per l’analisi del trascrittoma, qualche anno fa, al punto che chi raccontava di stare misurando le alterazioni del trascrittoma era considerato uno figo, oltre che dotato di buoni finanziamenti, dato che la tecnica era costosa. E poi, preso atto che uno i messaggi di istruzioni li puo’ pure ignorare, oppure li puo’ leggere molte volte e realizzare il prodotto finale in molte copie, partendo da un unico bozzetto, si e’ cominciato a credere che il trascrittoma non ci avrebbe portati, da solo, troppo lontano. Forse ci avrebbe pensato il proteoma, l’insieme di tutte le proteine presenti in un dato momento in un dato tipo di cellule, eventualmente in corrispondenza ad un certo trattamento. Mmmmm. E dopo il proteoma, giunse in aiuto anche il fosfo-proteoma, che a differenza del primo sa distinguere anche quale proteina e’ attiva nel fare ‘qualcosa’ da quale sta ferma li’ pronta per essere attivata, ovemai ne avesse bisogno. La proteina p53, per esempio, puo’ fare cose molto diverse a seconda di dove venga fosforilata, cioe’ dove le verra’ legato un gruppo fosfato. Il ruolo di p53 e’ piu’ chiaro se si guarda il fosfoproteoma che non il trascrittoma.

Addentrandosi nei legami logici tra DNA (genoma), DNA ‘con segnalibri’ (epigenoma), RNA (trascrittoma), array di microRNA e proteine (proteoma e fosfoproteoma) ci si accorge poi che il flusso dell’informazione e della produzione non va nemmeno a senso unico, come si pensava qualche anno fa. Sembra allora che nessuno di questi approcci, preso da solo, ci permette di trarre conclusioni degne di esser chiamate tali. E proprio mentre mi illudevo di aver avuto l’intuizione del mese, secondo cui nel futuro occorrera’ puntare sui punti di intersezione tra questi approcci, scopro che qualcuno ci ha gia’ pensato da parecchi anni, anche prima che si pensasse all’epigenoma: i giapponesi del progetto KEGG. Meglio tornare a studiare, allora. L’intuizione del mese dovra’ farsi attendere ancora un po’.

Riproduzione autorizzata di un articolo originariamente pubblicato sulla rivista online Galileo. Il copyright di questo materiale è di proprietà di Galileo Servizi Editoriali.