Massimo Pinto

Quando gli altri ci giudicano

23 Mar 2010

C’era un tempo, ma forse c’e’ ancora, un’abitudine curiosa in alcuni laboratori di ricerca italiani, in fatto di firma di una pubblicazione scientifica di ricerca biomedica. Secondo una logica che non mi e’ mai stata troppo chiara, e che non ho mai condiviso, il fine ultimo era dare forza ad un gruppo, piuttosto che ai suoi Homo Sapiens costituenti, per cui poco contava se uno aveva lavorato piu’ di un altro. Il contributo di ciascun ricercatore veniva spianato in un lapidario ordine alfabetico degli autori contribuenti. Nel terribile elenco, pertanto, Il Dottor Abbate appariva sempre prima del Dottor Zucca. E siccome le pubblicazioni scientifiche vanno sempre citate come Primo Autore et. al., tutti i lavori del gruppo di Zucca ed Abbate venivano citati come Abbate et. al. Difficile metterselo nella zucca, per tutti gli altri. Questa curiosa pratica ha causato tanta frustrazione, demotivazione, ingiustizie. Ma, in Italia, aveva un suo senso. Bastava aver pipettato dell’acqua in un recipiente, un paio di volte, come si vede in alcuni servizi televisivi con ricercatori in camici di laboratorio bianchissimi e stiratissimi, per guadagnarsi un posto sull’elenco, al pari di quello che aveva lavorato per 8 mesi, tutti i giorni cosi’ come nel fine settimana, povero scemo che era. Il gruppo appariva, complessivamente, produttivo: tutti i suoi membri pubblicavano un numero simile di lavori, cosi’ che il merito di ciascuno potesse esser subordinato ad altri criteri ad ogni occasione in cui si fosse dovuto discutere di premi, riconoscimenti, promozioni, assunzioni. Ma poi e’ venuta fuori questa ‘brutta storia’ del merito, una novita’ assoluta in Italia, che ha raggiunto proporzioni cosi’ gigantesche da apparire anche sulla stampa internazionale. E’ venuta fuori una gara vera, di quelle come le fanno all’estero, e ci hanno giudicati gli altri, secondo metodi largamente accettati all’estero. Un mio collega e’ rimasto profondamente amareggiato dal giudizio che gli e’ stato dato. Il suo progetto, pur non essendo finito il cima alla lista, e quindi non finanziato, era stato giudicato piuttosto bene. Avrebbe dovuto affrontare meglio alcuni aspetti della sua stesura, e probabilmente lo fara’ a breve nell’ambito della nuova versione del suo progetto, con la quale partecipera’ ad una nuova gara. La sua amarezza non e’ associata allo scarso riconoscimento dei meriti del progetto, quanto ai suoi. Avendo sempre lavorato in un gruppo di quelli che descrivevo su, e non chiamandosi Abbate, non e’ (quasi) mai apparso come primo autore. All’estero, diversamente che da noi, la posizione di primo autore e’ di colui che ha contributo in maggior misura alla realizzazione dell’esperimento, ideandolo, eseguendolo. Il secondo fa un po’ meno del primo, e poi tutti gli altri. L’ultimo autore conta piu’ o meno quanto il primo: e’ il capo del gruppo, quello che, in un paese normale, ha creato l’ambiente favorevole per la realizzazione di quella ricerca, mettendo a disposizione i finanziamenti che ha vinto come principal investigator, il laboratorio, con i suoi apparecchi, sostenendo il pensiero ed il lavoro degli altri. Anche se non si chiama Dottor Zucca. E cosi’, il mio collega si e’ trovato giudicato, sostanzialmente, inadeguato a condurre il suo progetto di ricerca perche’, non essendo comparso mai come primo autore di una pubblicazione scientifica, non avrebbe mai dimostrato di aver maturato quelle capacita’ di ricercatore indipendente che sono considerate cosi’ fondamentali, dai nostri colleghi oltre confine, per capitanare un progetto di ricerca. Un colpo durissimo da accettare, frutto di errori che non e’ piu’ possibile correggere. Ouch.

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