Massimo Pinto

Gli interrutori molecolari del cancro al seno

06 Jun 2010

Qualche settimana fa ho partecipato alla bellissima Komen Race di Roma, un evento sportivo per la raccolta dei fondi da destinare alla ricerca contro il cancro al seno, che insieme all’associazione per la ricerca contro i linfomi, i mielomi e le leucemie, è tra le fondazioni Italiane che riscuote maggior successo nella caccia ai finanziamenti. Non c’e’ da sorprendersi: tra le mortalità dovute al cancro, quella dovuta alla mammella è, nelle donne, seconda solo a quella dovuta al cancro ai polmoni, ed è incoraggiante come negli ultimi 20 anni, grazie anche alla ricerca scientifica, il tasso di mortalità per questa neoplasia si sia sensibilmente abbassato[1]. La ricerca contro il cancro al seno ha fatto delle scoperte interessanti riguardo il rischio ereditario di contrarlo: le donne portatrici di mutazioni in almeno uno di due geni, BRCA1 e BRCA2 (il nome deriva, appunto, dal BReast CAncer), hanno un rischio aggiuntivo, rispetto alla restante parte della popolazione femminile, di insorgenza di un cancro alla mammella nell’arco della loro vita. Questo, di per se’, non è una condanna: le donne portatrici di una mutazione in uno dei due geni BRCA1/2 si possono sottoporre ad esami diagnostici frequenti, così da poter rilevare l’eventuale neoplasia al suo stadio più precoce. BRCA1 e 2 sono essenziali nel processamento di un tipo di lesione al DNA chiamato ‘rottura della doppia elica’. In caso di mutazione BRCA1, l’efficacia della riparo del DNA è compromessa e le cellule ricorrono a meccanismi di riparazione del DNA soggetti ad errori. E di ragioni per cui li DNA si danneggi, nell’arco della nostra vita, ce ne sono moltissime. L’interpretazione più accreditata dell’impatto di un mutante BRCA1 è che l’organismo accumula, nel corso della vita, in virtù dell’uso di meccanismi di riparo del DNA soggetti ad errore, mutazioni genetiche che possono portare fino all’instabilità genomica, una proprietà essenziale in carcinogenesi. Come rimediare? Si tratta, chiaramente, di un’area attivissima della ricerca scientifica. La penna[2] di Simon Boulton, dei Clare Hall Laboratories a nord di Londra, racconta della pubblicazione di uno studio che cerca di fare più chiarezza sugli attori molecolari che vanno in scena insieme a BRCA1, perché BRCA1 non agisce mica da solo. Una proteina sua ‘compagna’, 53BP1 ne riduce fortemente gli effetti se mutato anch’esso. Dunque, un mutante BRCA1 che porti anche una mutazione in 53BP1, apparentemente, non è soggetto allo stesso rischio di neoplasie di un individuo che porti solo la mutazione BRCA1. Ovvero: una mutazione, in BRCA1 è potenziale portatrice di guai, ma una seconda mutazione in un altro gene riduce fortemente gli effetti della prima. Ecco allora la proposta di strategia terapeutica:

…inibitori di 53BP1 potrebbero essere adoperati in portatori di mutazioni Brca1, nella speranza di sopprimere la tumorigenesi e migliorare l’efficacia della riparazione del DNA.

Ciò varrebbe, tuttavia, in pazienti in cui il tumore non si sia già manifestato, perché, in questo caso

…l’inibizione di 53BP1 potrebbe avere l’effetto indesiderato di restaurare i processi di riparazione fedele del DNA anche in cellule tumorali, rendendole resistenti a terapie basate su agenti che causano danno al DNA.

Fioccheranno i trial clinici. Auguriamocelo.

[1] American Cancer Society, Statistiche 2009

[2] DNA repair: Decision at the break point, di Simon J Boulton, Nature 465, 301-302 (20 Maggio 2010)

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